Il cervello è l’organo del corpo che invecchia più velocemente e in maniera più significativa rispetto a tutti gli altri tessuti dell’organismo.1 Il motivo di questo fenomeno è intrinsecamente legato alla biochimica e alla funzione cerebrale. Infatti, i neuroni, le cellule principali di cui è composto il cervello, sono post-mitotici, cioè non si duplicano né si rigenerano (lo fanno solo in aree limitate, mediante la neurogenesi, che però incide molto poco in termini di replacement). Di conseguenza, una volta morte, non vengono sostituite da nuove cellule. Inoltre occorre ricordare che il cervello è una struttura ad alto metabolismo energetico. Infatti, il cervello utilizza grandi quantitativi di ossigeno (1/3 dell’ossigeno che respiriamo è usato dal cervello) e, quindi, produce molti radicali liberi, sostanze altamente reattive, in grado di procurare danni irreversibili a livello cellulare. Le membrane cellulari dei neuroni, inoltre, sono caratterizzate da un’alta concentrazione di acidi grassi polinsaturi, che rappresentano un substrato ideale per il danno ossidativo.
Il cervello in alcune aree presenta poi un’alta concentrazione di ferro e rame, metalli che sono in grado di catalizzare la produzione di forme radicaliche molto dannose (reazione di Fenton). Inoltre, e questo rappresenta quasi un paradosso, il cervello ha una bassissima concentrazione di antiossidanti endogeni (proteici e non). Ad esempio, i livelli di glutatione, di superossidodismutasi e di catalasi sono circa 1/5 rispetto a quelli del fegato. Di fatto, quindi, il cervello è per sua natura estremamente esposto allo stress ossidativo e di conseguenza invecchia più precocemente di altri tessuti.2 È possibile, attraverso adeguate strategie nutraceutiche, supportare adeguatamente la fisiologia cerebrale, promuovere un mantenimento delle funzioni cognitive nel tempo, ridurre i danni ossidativi a livello neuronale ed evitare così un invecchiamento patologico del nostro cervello? Si tratta di un argomento estremamente rilevante, soprattutto nell’ottica di prevenire l’instaurarsi di patologie neurodegenerative collegate all’invecchiamento, che negli ultimi anni stanno aumentando in modo preoccupante a livello globale.
Declino cognitivo, difese naturali e dieta
Negli ultimi anni l’incidenza delle patologie neurodegenerative, e in particolare la malattia di Alzheimer, sta aumentando in maniera esponenziale nei Paesi industrializzati, e anche in quelli in via di sviluppo. Gli ultimi dati presentati dall’Alzheimer Association parlano di una triplicazione dei casi di Alzheimer da oggi al 2050, e per quella data si prospetta che nel mondo occidentale un anziano su tre sarà affetto da Alzheimer. Si tratta di numeri enormi, insostenibili per qualsiasi sistema sanitario.3 In quest’ottica di emergenza socio-sanitaria, l’eventuale disponibilità di sostanze che aumentino le difese naturali del cervello, rallentando la morte dei neuroni e prevenendo l’insorgenza di patologie cognitive è sempre più rilevante.
La maggior parte dei casi di malattia di Alzheimer è sporadica, con eziologia multifattoriale, in cui le differenze ambientali e genetiche possono agire come fattori di rischio. Il fattore di rischio genetico più noto è l’eredità dell’allele ε4 della apolipoproteina E (APO-E). L’allele APO-Eε4 aumenta il rischio della malattia di circa tre volte negli eterozigoti e di 8-15 volte negli omozigoti. Le più recenti evidenze, risultanti dalle analisi di gruppi di popolazione con fattori genetici di rischio e da soggetti clinicamente normali, suggeriscono che il processo fisiopatologico dell’Alzheimer cominci in realtà molti anni prima della diagnosi clinica di deficit cognitivo, indicando la possibilità della definizione concettuale di un continuum nella progressione della patologia e determinando al contempo un’opportunità critica per interventi potenziali con approcci preventivi e molecole in grado di agire modificando il percorso e decorso della patologia.4 Tra le variabili ambientali, la dieta rappresenta sicuramente quella maggiormente in grado di influenzare il nostro stato di salute e la qualità dell’invecchiamento, e questo sembra essere vero anche per il cervello.
Recentemente il World Dementia Council (WDC) ha richiesto all’Alzheimer Association di valutare e sviluppare un documento di consenso sui fattori di rischio modificabili per il declino cognitivo e la demenza. L’Alzheimer Association ha concluso che oltre alla regolare attività fisica, al controllo dei fattori di rischio cardiovascolari e al continuo “allenamento” mentale, un elemento critico nel ridurre il rischio di sviluppare deficit cognitivi e demenza durante l’invecchiamento è costituito dalla dieta, identificando nello specifico la dieta mediterranea come la migliore strategia nutrizionale per mantenere una corretta funzione cerebrale.5 Numerosi studi epidemiologici e osservazionali e, recentemente, anche solidi studi di intervento hanno sottolineato l’importanza di alcuni composti contenuti nel cibo nel supportare una corretta fisiologia cerebrale e nel condizionare i processi cognitivi e il tono dell’umore.6 Il ruolo di nutrienti essenziali, di composti non essenziali e addirittura di non nutrienti derivati dalla dieta e l’uso di sostanze nutraceutiche in grado di interferire positivamente su infiammazione e stress è, quindi, sempre più considerato una potenziale strategia preventiva nei confronti delle patologie neurodegenerative e dell’invecchiamento cerebrale in generale.7
Dal punto di vista nutrizionale, la principale risorsa energetica del cervello dipende dai livelli di glucosio disponibile, e su questa base l’EFSA ha attribuito un parere favorevole all’indicazione relativa ai carboidrati glicemici (fonte di glucosio) di favorire le normali funzioni cerebrali.8 Oltre al glucosio, benzina da cui dipendono le funzioni cerebrali, molti altri nutrienti essenziali risultano fondamentali per una corretta fisiologia neuronale, come ad esempio la maggior parte delle vitamine, e in particolare quelle del gruppo B.
Vitamine
In generale, il cervello è particolarmente sensibile a carenze vitaminiche: soprattutto alcune vitamine del gruppo B svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento della fisiologia cerebrale. La vitamina B6 aiuta a modulare la sintesi di neurotrasmettitori come serotonina e norepinefrina ed è anche coinvolta nella formazione della guaina che riveste le fibre nervose. La vitamina B12 interviene nella regolazione delle funzioni e del trofismo neuronale e un suo deficit causa perdita di memoria e concentrazione, disturbi dell’umore e demenza.9 Le vitamine B6 e B12 svolgono, inoltre, azioni protettive contrastando la formazione di radicali liberi e regolando positivamente il metabolismo dell’omocisteina, il cui accumulo impedisce lo svolgimento delle funzioni neuronali.10 L’acido pantotenico, altra vitamina del gruppo B, fondamentale per la formazione di acetilcoenzima A e per numerose reazioni biochimiche, tra cui la sintesi dei neurotrasmettitori, ha ottenuto dall’EFSA l’indicazione legata al mantenimento delle normali prestazioni mentali.11
Acidi grassi polinsaturi omega-3
Le due principali classi di acidi grassi polinsaturi (PUFA) sono gli acidi grassi omega-3 e omega-
6. I PUFA si distinguono dagli altri acidi grassi, saturi e monoinsaturi, per la presenza di due o più doppi legami tra gli atomi di carbonio all’interno della catena che ne costituisce la struttura. I PUFA, oltre a fungere da substrato energetico, svolgono un ruolo importante come componenti dei fosfolipidi che formano le strutture delle membrane cellulari, e costituiscono il substrato da cui vengono prodotti fondamentali molecole regolatorie dei processi infiammatori, del tono vasale e della coagulazione.
Sia gli omega-3 sia gli omega-6 sono considerati acidi grassi essenziali, il che significa da un lato che sono fondamentali per il nostro organismo, dall’altro che non siamo in grado di sintetizzarli e il loro apporto deriva esclusivamente dalla dieta. Per quanto riguarda gli omega-3 ne esistono di diversi tipi, ma la maggior parte della ricerca scientifica si è concentrata principalmente su tre di essi: l’acido alfa-linolenico (ALA), a catena corta e presente in alti quantitativi in alcuni oli vegetali (lino, canola), l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA), a catena lunga e presenti soprattutto nel pesce (i pesci a loro volta li assumono da alghe e microrganismi marini). L’ALA può essere convertito nel nostro corpo in EPA e quindi in DHA, ma la conversione (che si verifica principalmente nel fegato) è molto limitata, con tassi riportati inferiori al 15%. Pertanto, il consumo di EPA e DHA direttamente da alimenti e/o integratori alimentari è l’unico modo pratico per aumentare i livelli di questi acidi grassi nel corpo.12
I benefici per la salute derivanti da un adeguato consumo alimentare di omega-3 sono stati oggetto di numerose ricerche scientifiche, e molti studi osservazionali e di intervento hanno evidenziato come l’assunzione più elevata di omega-3 nella dieta sortisca un effetto particolarmente positivo a livello del sistema cardiovascolare. Molti studi suggeriscono inoltre che le diete ricche di omega-3 a catena lunga, in particolar modo DHA, sono associate a un ridotto rischio di declino cognitivo, malattia di Alzheimer e demenza. I livelli di DHA sono infatti particolarmente elevati nel cervello e nella retina, e il DHA è il PUFA più abbondante tra quelli presenti nelle membrane cellulari dei neuroni (circa il 40% dei fosfolipidi neuronali contiene DHA). Livelli adeguati di DHA sono associati a un corretto sviluppo cerebrale nella vita fetale e il DHA svolge, anche in età adulta, un ruolo fondamentale nella trasmissione
dell’impulso nervoso.13 Essendo il DHA, come detto, un nutriente essenziale, la corretta composizione lipidica del nostro cervello dipende moltissimo dall’assunzione di questa sostanza con la dieta.
Sulla base di tali considerazioni, l’EFSA ha approvato un’indicazione salutistica del DHA specifica per il supporto della corretta fisiologia cerebrale, a un dosaggio giornaliero di 250 mg,14 e per il contributo a un normale sviluppo cerebrale nell’infanzia (100 mg da 0 a 24 mesi, 250 dai 2 anni in poi).15
Sin dalle prime fasi dello sviluppo embrionale il ruolo del DHA risulta fondamentale per una corretta formazione del sistema nervoso centrale.16 Il DHA è trasferito dalla circolazione materna al cervello del feto in grandi quantitativi e riveste un ruolo cruciale nella crescita cerebrale e nella sinaptogenesi (la formazione di nuove sinapsi).17 La quantità di DHA materno nelle sinapsi e nelle membrane neuronali del feto dipende strettamente dalla sua assunzione con la dieta.18,19 La carenza alimentare di questa sostanza, infatti, si lega ad alterazioni cerebrali di varia severità e ci sono evidenze che anche lievi deficit di acidi grassi essenziali in gravidanza si associano a effetti negativi per le funzioni del cervello del nascituro. Alcuni studi si sono concentrati sugli effetti di una supplementazione con omega-3 sul rendimento scolastico dei bambini.20 Uno studio in doppio cieco ha reclutato presso le scuole di Durham, in Inghilterra, bambini con scarso potenziale di apprendimento e di concentrazione, ma senza patologie comportamentali; i soggetti sono stati randomizzati in due gruppi a ricevere omega-3 o placebo, e quindi sono stati seguiti per mesi e valutati attraverso la somministrazione di svariati test cognitivi. La ricerca ha dimostrato che l’integrazione con omega-3 era in grado di migliorare le prestazioni scolastiche.21 Questi risultati sono in accordo con ulteriori studi effettuati su bambini scolarizzati in Australia e in Indonesia, in cui è stato rilevato come la supplementazione con omega-3 (DHA 88 mg/die, EPA 22 mg/die) sia in grado di migliorare le performance scolastiche a 6 e 12 mesi di trattamento.22
La possibilità che gli omega-3, e in particolare il DHA, siano in grado di stimolare i processi cognitivi e la memoria e in generale di preservare un corretto funzionamento del cervello anche nell’adulto è supportata da numerosi studi sperimentali e clinici. In modelli sperimentali animali, ad esempio, è stato ampiamente dimostrato che una carenza di omega-3 nella dieta comporta lo sviluppo di deficit cognitivi e un grave peggioramento delle funzioni di apprendimento e memoria.23,24 Inoltre, evidenze sperimentali hanno dimostrato come il DHA cerebrale diminuisca con l’invecchiamento, particolarmente nell’ippocampo, area cerebrale fondamentale per la formazione della memoria e per i processi cognitivi.25,26 Nell’uomo una dieta deficitaria in omega-3 è stata associata a un aumentato rischio di sviluppare numerosi disturbi del comportamento e disordini mentali, inclusi deficit cognitivi e demenza. Alcuni dei meccanismi attraverso cui gli omega-3 agiscono sui processi cognitivi e sulla plasticità neuronale stanno cominciando ad essere compresi.27 È stato dimostrato, ad esempio, che una supplementazione di DHA è in grado di elevare i livelli ippocampali del Brain-Derived Neurotrophic Factor (BDNF), un fattore di crescita critico per le funzioni neuronali, e di migliorare così la ripresa delle funzioni cognitive in ratti sottoposti a trauma cerebrale.28 Gli omega-3 sono in grado di attivare a livello cerebrale diverse vie metaboliche capaci di modulare l’espressione di fattori cellulari quali il sopraccitato BDNF e l’Insulin-Like Growth Factor 1 (IGF-1). Queste due molecole agiscono a livello pre- e post-sinaptico innescando una serie di sistemi di segnale in grado di
facilitare la trasmissione nervosa e supportare il fenomeno della long-term potentiation, meccanismo sinaptico direttamente collegato ai fenomeni di memoria e apprendimento. La capacità del DHA di elevare i livelli di BDNF spiega anche la capacità di questo acido grasso di interferire su altri meccanismi di segnale cellulari coinvolti nei meccanismi di plasticità neuronale e nei processi cognitivi.
Numerosi studi suggeriscono un’importante funzione di protezione da parte degli omega-3 anche in numerose patologie neurodegenerative, dall’Alzheimer alla sclerosi laterale amiotrofica.29 Studi recenti ipotizzano infatti un ruolo importante svolto dal DHA nella protezione dei neuroni dallo stress ossidativo e nell’inibizione della sintesi di geni proinfiammatori e proapoptotici, sia nel cervello sia nella retina. In tal senso si è scoperto che tra i metaboliti del DHA, molecole attive nel loro complesso chiamate docosanoidi, ve n’è una, la neuroprotettina D1, dotata di potenti attività antiossidanti, antiapoptotiche e in grado di inibire la cascata infiammatoria a livello cerebrale. Partendo da queste evidenze alcuni studi hanno dimostrato la capacità del DHA e della neuroprotettina D1 di proteggere il cervello dall’invecchiamento patologico e dalle malattie neurodegenerative.30 La supplementazione con DHA, ad esempio, è in grado di attenuare il degrado neurodegenerativo e migliorare le funzioni sinaptiche e mnemoniche in topi transgenici APO-E4.31
Nell’uomo, molti studi osservazionali hanno associato la quantità di pesce nella dieta, l’assunzione di omega-3 e alti livelli di omega 3 nel sangue con una ridotta incidenza di Alzheimer, migliori funzioni cognitive e mantenimento del volume cerebrale. Una metanalisi del 2016 dose-risposta di 21 studi di coorte ha scoperto che un aumento dell’assunzione di pesce e di DHA dietetico era inversamente associato ai rischi di demenza e Alzheimer. In particolare, un aumento di 100 mg/die nell’assunzione di DHA era associato a un rischio inferiore di demenza del 14% e a un rischio inferiore di malattia di Alzheimer del 37%.32
La supplementazione con DHA (con dosaggi tra 250 mg e 2 g/die) in studi clinici (randomizzati e non) è risultata positivamente associata a un ritardo del declino cognitivo in soggetti anziani e affetti da Mild Cognitive Impairment (MCI).33 Per le persone affette da MCI, gli omega-3 possono migliorare alcuni aspetti della funzione cognitiva, tra cui attenzione, velocità di elaborazione e richiamo immediato di informazioni.34
Una più recente metanalisi ha inoltre messo in evidenza come la supplementazione con DHA possa supportare un migliore mantenimento della memoria episodica anche nei soggetti anziani sani.35 In un altro studio condotto su soggetti affetti da demenza, la supplementazione con omega-3 ha dimostrato una significativa efficacia nel preservare le funzioni cognitive e addirittura nel preservare il volume cerebrale in pazienti affetti da demenza di Alzheimer.36 Nonostante questo dato positivo, molti altri studi condotti su pazienti alzheimeriani hanno ottenuto risultati meno evidenti e non significativi.37
Gli effetti benefici sui processi cognitivi e sulla memoria legati all’assunzione di DHA nell’invecchiamento e nelle situazioni di predemenza (MCI), ma non nell’Alzheimer conclamato, suggeriscono che una supplementazione precoce potrebbe rappresentare una strategia promettente per ridurre il rischio, o ritardare l’insorgenza, dello sviluppo dei sintomi di demenza, in particolar modo nei soggetti portatori di mutazione genetica APO-E4.37
Fosfolipidi
I fosfolipidi sono i mattoni molecolari alla base della struttura delle membrane cellulari e rappresentano siti dinamici delle funzioni di segnale e della maggior parte dei processi vitali delle cellule. Sono costituiti da una molecola di glicerolo, due acidi grassi e da un gruppo fosforico collegato a una molecola da cui dipende il gruppo di appartenenza dei fosfolipidi. Nel cervello i principali fosfolipidi sono la fosfatidilcolina e la fosfatidilserina.
Colina
L’elemento che caratterizza la fosfatidilcolina (PC) è la colina, una amina quaternaria presente negli alimenti e attivamente sintetizzata nel nostro organismo. La colina ha una serie di importanti funzioni nella regolazione della struttura e della funzione delle membrane neuronali, essendo un precursore della fosfatidilcolina e della sfingomielina (componente della mielina nelle cellule nervose). La colina è poi anche acetilitata nei neuroni colinergici per formare l’acetilcolina, il neurotrasmettitore chiave nei processi di memoria e apprendimento. Nonostante la capacità del nostro organismo di sintetizzare la colina de novo, le richieste di questa sostanza spesso superano la capacità di produzione, e quindi, sebbene non si tratti di un nutriente essenziale, siamo obbligati ad assumerne un adeguato quantitativo dalla dieta. La colina è presente nel cibo soprattutto come fosfatidilcolina, come colina libera o come citicolina. L’assunzione di colina con la dieta è stata stimata tra i 300 i 1000 mg/die. I cibi con la maggior presenza di colina sono uova, fegato, soia e carne di maiale. Sebbene non ci siano evidenze cha associno una carenza alimentare di colina allo sviluppo di deficit cognitivi, è invece possibile che i livelli di assunzione con la dieta favoriscano la fisiologia dei processi cognitivi. Uno studio condotto su 1391 persone adulte/anziane non affette da demenza, ad esempio, ha dimostrato una correlazione positiva tra livelli di assunzione di colina con la dieta e funzioni mnemoniche.38 Lo stesso studio ha anche evidenziato una correlazione tra assunzione di colina e dimensioni della materia-bianca cerebrale.
Recentemente la citicolina, un intermedio della sintesi dei fosfolipidi, ha ottenuto l’approvazione EFSA come novel food, a dosaggio di 500 mg die,39 e in quanto fonte di colina viene proposto come supplementazione per il supporto delle funzioni cognitive. L’assorbimento della citicolina è elevato e i suoi metaboliti si distribuiscono rapidamente in vari tessuti, incluso il cervello. Oltre a fornire colina, la citicolina fornisce citidina, che viene parzialmente trasformata in uridina, ambedue nucleosidi (componenti degli acidi ribonucleici [RNA]), con un ruolo sull’efficienza cerebrale non ancora chiaramente definito. Sebbene, ben prima di ottenere lo status di novel food, la citicolina sia stata abbondantemente sperimentata in termini di effetti sulla fisiologia cerebrale, a oggi sono ancora esigui gli studi che ne dimostrano una chiara efficacia nel favorire o preservare i processi cognitivi nell’uomo.
Fosfatidilserina
La fosfatidilserina (PS) e il principale fosfolipide acidico dell’organismo e si trova particolarmente concentrato nel cervello, costituendo circa il 15% dei fosfolipidi della corteccia cerebrale. La PS è localizzata nello strato interno (citoplasmatico) della membrana cellulare, dove è parte integrante di meccanismi molecolari legati alla modulazione e all’attivazione di
fondamentali vie di segnale. In tal senso la PS supporta numerose funzioni cellulari particolarmente importanti per il cervello, inclusi l’integrità della membrana mitocondriale per la produzione di energia, la depolarizzazione delle membrane neuronali, il rilascio presinaptico dei neurotrasmettitori, le attività recettoriali post-sinaptiche e l’attivazione della protein-kinasi C (una molecola cruciale per la fisiologia dei processi cognitivi, memoria e apprendimento).
Dal punto di vista nutrizionale la PS si trova in diversi alimenti di origine sia vegetale sia animale, e presenta una diversa composizione in termini di acidi grassi in funzione della fonte di origine. In particolare, quella derivata dalla lecitina di soia è particolarmente ricca in acidi grassi mono- e polinsaturi, quella da fonti animali (un tempo derivata da cervello bovino) di grassi saturi, quella da fonti marine, come il krill, è ricca in omega-3. È stato dimostrato che la supplementazione con PS è in grado di migliorare le funzioni cognitive in modelli sperimentali animali. Anche nell’uomo un’integrazione con PS di soia è risultata favorire le funzioni cognitive in soggetti anziani e affetti da demenza di lieve grado,40 ridurre gli effetti deleteri dello stress psicogeno41 e migliorare le performance mentali durante test di calcolo in giovani atleti dopo esercizio fisico. In uno studio randomizzato in doppio cieco, soggetti tra 50 e 69 anni di età con lievi deficit mnemonici hanno ottenuto benefici significativi dopo 6 mesi di integrazione con PS di soia.42 Altri studi condotti con PS derivata da organismi marini e quindi ricca in omega-3, principalmente DHA, hanno ottenuto risultati significativi in termini di miglioramento delle funzioni cognitive. In particolare, due studi clinici condotti su soggetti anziani affetti da deficit cognitivi lievi hanno dimostrato significativi miglioramenti relativi alle funzioni mnemoniche con un trattamento giornaliero di 300 mg di PS contenente omega-3.43,44 Comunque, ad oggi mancano evidenze scientifiche in grado di dimostrare una diretta correlazione della PS assunta oralmente con un aumento della sua concentrazione o del suo trasporto a livello cerebrale. I fosfolipidi assunti con la dieta (PS, così come PC) sono idrolizzati durante la digestione e quindi non sono assorbiti intatti. Quanta PS sia quindi realmente assimilata e trasportata al cervello resta un elemento sconosciuto.
L-acetil carnitina
Tra i composti endogeni non essenziali in grado di influenzare le funzioni cognitive e la fisiologia cerebrale un posto di rilievo appartiene alla L-acetil carnitina (LAC), che rappresenta l’acetilestere dell’aminoacido carnitina ed è un elemento importante nel metabolismo energetico del cervello, come di altri tessuti.45 Nelle cellule la LAC trasporta gli acidi grassi dal citoplasma ai mitocondri, dove vengono trasformati in ATP attraverso la fosforilazione ossidativa. La LAC è normalmente prodotta dalla nostra biochimica a partire dagli aminoacidi lisina e metionina, e la sua sintesi è molto attiva nel cervello. La LAC è assimilabile anche attraverso il cibo e la supplementazione è stata proposta negli ultimi anni come un nutraceutico ad azione neuroprotettiva, grazie alla sua capacità di migliorare, a livello cerebrale, il metabolismo e la funzione mitocondriali. In modelli animali la supplementazione con LAC migliora la trasmissione sinaptica e le capacità di apprendimento e memoria.46 In modelli murini di Alzheimer, la LAC migliora le funzioni colinergiche, migliora le capacità antiossidanti e protegge il cervello dalla nefrotossicità della beta-amiloide.47
Sono numerosi gli studi clinici sull’efficacia dell’uso della LAC nei disturbi cognitivi, nell’MCI
e nella demenza. In generale, la durata del trattamento investigato in questi trial va da un minimo di 3 mesi a un massimo di un anno con dosaggi che variano da 1 a 3 g/die.48 Sebbene molti studi dimostrino un’efficacia significativa del trattamento con LAC nei confronti del placebo,49 altri sono meno conclusivi sulla reale capacità di questo composto di migliorare i deficit cognitivi. Alcune ricerche sembrano però sostenere una capacità della LAC, da sola o associata a vitamine, di rallentare il declino cognitivo in soggetti affetti da demenza lieve o moderata.50 Sebbene l’efficacia della LAC non sia stata definitivamente dimostrata, come sottolineato dalla mancanza di un claim approvato da EFSA, resta un notevole interesse nei confronti di questa molecola in termini di supporto nutrizionale alla fisiologia del cervello e soprattutto in termini di prevenzione delle patologie neurodegenerative.
Omotaurina
Un altro nutraceutico particolarmente interessante nel trattamento e nella prevenzione delle patologie neurodegenerative è l’omotaurina, un derivato aminoacidico solfonato presente in alcune specie di alghe marine. Possiede specifiche proprietà neuroprotettive che interferiscono e contrastano l’effetto neurotossico della proteina beta-amiloide nelle aree cerebrali deputate al corretto funzionamento della memoria. In questo modo l’omotaurina ritarda il deterioramento delle funzioni cognitive, favorendo la capacità di conservare le informazioni nel tempo.51
L’efficacia e l’effetto dell’omotaurina sulla progressione dell’Alzheimer sono poi stati investigati in un ampio studio di fase III in pazienti con malattia di Alzheimer lieve-moderata esaminati per un periodo di 18 mesi. Lo studio randomizzato, in doppio cieco, controllato contro placebo, con disegno a bracci paralleli, è stato condotto in 67 Centri negli USA e in Canada (ALPHASE). In totale, hanno preso parte allo studio 1052 pazienti con diagnosi di malattia di Alzheimer lieve- moderata. Questo studio ha mostrato trend di riduzione del declino cognitivo misurato con ADAS-cog e una significativa diminuzione, dose-dipendente, della perdita di volume ippocampale in pazienti trattati con omotaurina.52 In particolare, nei soggetti portatori dell’allele APO-Eε4, l’omotaurina ha significativamente rallentato il declino cognitivo globale legato alla malattia.
Due recenti studi che hanno valutato la supplementazione di omotaurina come integratore in soggetti affetti da MCI ne hanno confermato l’azione neuroprotettiva e di miglioramento delle funzioni cognitive, suggerendo un potenziale per questa molecola nel modificare positivamente l’andamento del decorso della malattia di Alzheimer (disease-modifying therapy).53,54
L-teanina
La L-teanina (L-glutamiletilamide) è un aminoacido non proteico (cioè non serve a fare proteine) che si ritrova nelle piante del genere Camelia, in particolare nella Camelia sinensis, la pianta usata per fare il tè. La L-teanina è una sostanza ammessa negli integratori alimentari dal Ministero della Salute (“altre sostanze ad effetto nutritivo o fisiologico”). Assunta oralmente la L-teanina viene assorbita velocemente dalla mucosa intestinale attraverso il sistema di trasporto
metionina, e una volta in circolo attraversa agevolmente la barriera ematoencefalica raggiungendo il cervello in modo dose-dipendente, attraverso la via della leucina.55
La struttura chimica della L-teanina è molto simile a quella dell’aminoacido glutammato e a livello cerebrale agisce come un neurotrasmettitore (azione recettoriale diretta o attraverso la modulazione di altri neurotrasmettitori), con influenze sui processi cognitivi, sulla memoria56 e sul tono dell’umore.57 In particolar modo la L-teanina agisce modulando i livelli cerebrali di GABA, stimolando la produzione di onde cerebrali di tipo alfa (rilevate con EEG) e provocando una sensazione di rilassamento e di benessere.58,59
Numerosi studi sull’uomo, sia in soggetti sani sia in pazienti affetti da disturbi psichiatrici, hanno evidenziato questa capacità ansiolitica e antistress della L-teanina assunta oralmente a un dosaggio di 200 mg.60,61 La L-teanina inoltre svolge un’importante azione neuroprotettiva,62 sia attraverso un’azione antagonistica nei confronti dell’attività eccitotossica del glutammato, sia inducendo la sintesi di glutatione ridotto nelle cellule.63
Estratti vegetali (botanicals)
Numerose sostanze “non nutrienti”, contenute in alimenti vegetali o in piante fitoterapiche, sono state oggetto di ricerche sperimentali e cliniche, in quanto potenzialmente efficaci nel promuovere aspetti della fisiologia e della funzione cerebrale. Ogni specie di pianta ha sviluppato la capacità di sintetizzare peculiari mix di sostanze fitochimiche, potenzialmente in grado di interagire con la nostra biochimica. Sebbene le tipologie di composti di origine vegetali siano innumerevoli, la maggior parte dei fitochimici ad azione biologica ricade in tre principali gruppi strutturali: fenoli, terpeni e alcaloidi. I fenoli, e in particolar modo la variegata famiglia dei polifenoli, molecole caratterizzate dalla presenza nella loro struttura chimica di due anelli aromatici fenolici, sono sicuramente i fitocomposti maggiormente studiati dalla ricerca scientifica. Infatti, sono note da anni le proprietà antinfiammatorie e antiossidanti di tali composti. Queste sostanze sono in grado di stimolare i sistemi di riparazione cellulare, di amplificare le difese antiossidanti endogene e di inibire in maniera specifica l’azione delle molecole infiammatorie. L’innesco di tale risposta difensiva è legato alla specifica capacità di alcuni polifenoli di modulare specifici meccanismi di segnale e fattori di trascrizione. A livello cerebrale, la loro azione risulta particolarmente interessante in termini di neuroprotezione dai danni ossidativi e dall’infiammazione. Inoltre, molti polifenoli sono in grado di migliorare il flusso sanguigno cerebrale, favorendo il metabolismo energetico neuronale.
Le sostanze e i preparati vegetali (botanicals), e relative preparazioni derivate, a base di piante, alghe, funghi o licheni sono largamente presenti sul mercato europeo sotto forma di integratori alimentari. Dal 2010 l’EFSA ha temporaneamente sospeso la valutazione degli effetti sulla salute esercitati da sostanze di origine vegetale, mentre in Italia il Ministero della Salute ha sviluppato una lista nazionale delle piante ammesse come integratori, in accordo con Francia e Belgio (lista BELFRIT), dove vengono riportate anche le indicazioni per la salute tradizionalmente riconosciute e ammissibili per gli estratti di tali piante.
Curcuma longa
La Curcuma longa L. è una pianta endemica del Sud-est asiatico, dal cui rizoma (tubero) si ricava una polvere gialla chiamata curcuma o turmerico, universalmente nota in quanto costituisce la base principale per la preparazione del curry. La polvere e gli estratti di curcuma contengono numerose sostanze fitochimiche, soprattutto polifenoli, di cui i più abbondanti e caratteristici sono i curcuminoidi. Tra i curcuminoidi, la curcumina è il polifenolo più presente e più studiato dalla scienza medica, e da anni sono note le proprietà antinfiammatorie e antiossidanti di questa molecola. La Curcuma longa è una pianta ammessa come integratore alimentare e presente nella lista BELFRIT, con le indicazioni: Antiossidante; Funzionalità articolare; Contrasto dei disturbi del ciclo mestruale. Il suo utilizzo principale riguarda le condizioni infiammatorie delle articolazioni e la protezione dallo stress ossidativo in vari organi. Sia il danno ossidativo sia i processi infiammatori sono condizioni fortemente associate anche all’invecchiamento cerebrale patologico, in particolar modo nelle patologie neurodegenerative croniche quali la demenza di Alzheimer.64 In tal senso l’utilizzo di una supplementazione a lungo termine con un composto come la curcumina, in grado di modulare efficacemente stress ossidativo e infiammazione, è stato ampliamente esplorato dalla ricerca scientifica.65
Studi sviluppati nel nostro e in altri laboratori hanno evidenziato negli ultimi anni le rilevanti capacità neuroprotettive della curcumina in vari modelli sperimentali di morte neuronale.66 Le nostre ricerche hanno inoltre identificato alcuni tra i principali meccanismi biologici alla base di questa proprietà protettiva della curcumina e dei polifenoli in generale. Queste sostanze infatti sono in grado di attivare una famiglia di geni difensivi (tra cui l’enzima eme-ossigenasi 1 e gli enzimi detossificanti di tipo II), collegati alla risposta cellulare allo stress e in grado di potenziare la vitalità cellulare e di proteggere il neurone dai danni indotti dallo stress ossidativo. L’innesco di tale risposta difensiva è legato alla specifica capacità di alcuni polifenoli, tra cui la curcumina, di attivare un fattore di trascrizione fondamentale per la sopravvivenza cellulare allo stress, l’Nrf2, e parallelamente inibire l’Nf-kB, un segnale fondamentale nell’innescare i processi infiammatori e di morte programmata.67 La curcumina, oltre alle sue capacità di controllare infiammazione e stress ossidativo, è in grado di ridurre l’aggregazione della beta-amiloide, il peptide amorfo legato alla patogenesi della malattia di Alzheimer.68,69 In tal senso la curcumina, in modelli animali di Alzheimer (topo transgenico), si è dimostrata efficace nel ridurre le placche di beta-amiloide, i livelli di proteine ossidate e i danni cerebrali ad essi associati.70
Un interessante lavoro in vivo, eseguito con microscopia multifotonica, ha dimostrato l’abilità della curcumina di attraversare la barriera ematoencefalica e distruggere le placche di beta- amiloide.71
Queste scoperte trovano riscontri anche in recenti studi epidemiologici che dimostrano che in India, dove si fa ampio uso di curry e la curcumina è quotidianamente utilizzata nella dieta come spezia predominante, sia l’Alzheimer sia il Parkinson hanno un’incidenza bassissima rispetto ad altre parti del mondo (circa 7 volte meno che negli USA).72 Un recente studio ha poi evidenziato come nella popolazione asiatica chi assume regolarmente curry mantenga in vecchiaia buone funzioni mnemoniche e cognitive e si ammali meno di Alzheimer rispetto a chi non ne fa uso.73
Sulla base delle suggestioni epidemiologiche e di una notevole mole di lavori sperimentali su cellule e su animali, negli ultimi anni si è passati alla valutazione della curcumina anche in trial clinici randomizzati, mirati a dimostrarne la possibile efficacia nella prevenzione e cura di vari aspetti di patologie degenerative dell’invecchiamento a origine infiammatoria o/e da danno
- ossidativo.74Dal punto di vista clinico i primi studi condotti su pazienti alzheimeriani hanno fornito indicazioni interessanti, ma pochi riscontri in termini di miglioramento sintomatologico. Per esempio, uno studio ha confermato un potenziale impatto della curcumina e dei curcuminoidi sui meccanismi di eliminazione della beta-amiloide.75I ricercatori, esaminando alcuni campioni di sangue di pazienti affetti da Alzheimer, hanno scoperto che la curcumina stimola in maniera specifica l’attivazione dei macrofagi, cellule immunitarie che svolgono un ruolo importante nel complesso meccanismo delle risposte immunitarie, che si risolve a livello cerebrale in una maggiore rimozione della beta-amiloide. Purtroppo, nei pazienti con diagnosi di Alzheimer tali approcci possono, nel migliore dei casi, rallentare il progresso della malattia, ma è molto difficile immaginare recuperi funzionali, essendo il danno neuronale oramai consolidato.
Decisamente più interessante è la possibilità di definire strategie nutraceutiche mirate con la curcumina in soggetti a rischio o affetti da disturbi cognitivi lievi e non ancora con diagnosi di Alzheimer. In uno studio clinico della durata di 6 mesi, condotto su pazienti anziani affetti da MCI e trattati con 1 o 4 g/die di curcumina, sono stati osservati un rallentamento rispetto al placebo del declino cognitivo (misurato con il Mini Mental Statement Examination) e un effetto positivo sull’accumulo di beta-amiloide (riscontrando un aumento nel sangue, associato a una maggiore rimozione dal cervello).76
In un altro studio condotto su anziani sani trattati per 12 mesi con 1,5 g/die di curcumina è stato riscontrato rispetto al placebo un miglioramento nei primi 6 mesi dello score relativo al Montreal Cognitive Assessment, un test ampiamente utilizzato per valutare il declino cognitivo.77
Un altro studio, più breve, condotto su anziani sani trattati per 4 settimane con 450 mg di una formulazione con curcumina a discreta biodisponibilità, ha dimostrato una significativa efficacia nel migliorare sia la memoria sia il tono dell’umore rispetto al placebo. Lo studio ha anche evidenziato che un trattamento in acuto con la curcumina migliora, 2 ore dopo l’assunzione, le risposte a test mnemonici sia nei soggetti non trattati sia in quelli già in trattamento, come a dire che al di là degli effetti preventivi la curcumina possa agire come un vero e proprio inotropo (booster dei processi cognitivi).78
Uno dei principali problemi per l’uso di curcumina orale in un contesto cerebrale resta ovviamente quello della biodisponibilità. Cionondimeno la curcumina (e i curcuminoidi), sostanze piccole e lipofiliche, una volta assorbita a livello intestinale e in circolo è in grado di attraversare agevolmente la barriera ematoencefalica e raggiungere così il parenchima cerebrale, con una spiccata tendenza a concentrarsi nell’area dell’ippocampo e a legarsi con le fibrille di beta-amiloide. Questo aspetto è stato per la prima volta dimostrato nell’uomo attraverso uno studio a lungo termine (18 mesi) condotto su soggetti adulti non dementi, a cui sono stati somministrati quotidianamente 90 mg di curcumina a elevata biodisponibilità. I soggetti da un lato sono stati esaminati – prima, durante e dopo il trattamento – in termini di funzioni cognitive attraverso test di memoria verbale e visiva (Buschke Selective Reminding Test e Brief Visual Memory Test) e di attenzione (Trail Making A), dall’altro monitorati con una speciale tecnica di neuroimmagine PET, che usa un tracciante radioattivo, il 2-(1-{6-[(2-[F-18]fluoroetil) (metil)amino-2-naftil}etilidene) malononitrile (FDDNP), in grado di visualizzare in vivo sia i depositi di beta-amiloide sia i grovigli neurofibrillari legati alla proteina tau.79 Lo studio ha dimostrato che l’azione della curcumina ad alta biodisponibilità migliora significativamente sia la memoria sia i livelli di attenzione, ma soprattutto che tale miglioramento è associato a una riduzione dei depositi di beta-amiloide.
Uno dei principali limiti dell’utilizzo della curcumina come integratore a livello cerebrale è comunque legato alla sua scarsa biodisponibilità.80 Le nuove formulazioni di Curcuma dotate di migliore assorbimento in termini di principi attivi (nanomicelle, fitosomi, ciclodestrine ecc.), permettendo una maggiore biodisponibilità, rappresentano una grande promessa per il supporto della fisiologia cerebrale e hanno recentemente permesso di dimostrare in studi nutrizionali di intervento sull’uomo una significativa efficacia sia in termini di miglioramento delle funzioni cognitive sia del tono dell’umore.81,82,83
Theobroma cacao
Le fave del frutto dell’albero di Theobroma cacao L. (TC) sono la base per la produzione dell’alimento funzionale più importante e diffuso nella storia umana, cioè il cacao. Il cacao contiene numerose sostanze fitochimiche, tra cui svariate metilxantine, prevalentemente teobromina e caffeina, ed è una ricca fonte di composti polifenolici con un’elevata quantità di flavonoidi, in particolare flavanoli, noti anche come flavan-3-oli, che includono principalmente i monomeri (-)epicatechina e (+)catechina, nonché proantocianidine polimeriche. Al contrario dei curcuminoidi, i flavanoli del cacao sono dotati di una discreta biodisponibilità, in particolar modo i monomeri, e negli ultimi anni sono stati oggetto di intensi studi per valutare i loro effetti sulla salute, inclusa la capacità di interferire positivamente sulla fisiologia cerebrale. Sulla base di tali studi è stato possibile dimostrare che l’assunzione di flavanoli del cacao è in grado di regolare e migliorare le funzioni vascolari dell’organismo, principalmente in funzione della capacità di queste sostanze di aumentare i livelli endoteliali di ossido nitrico (molecola endogena che regola il tono vasale). In tal senso i flavanoli del cacao, alla dose di 200 mg/die, hanno ottenuto un’indicazione salutistica approvata dall’EFSA riguardo l’effetto benefico sulla circolazione sanguigna.84
In Italia le fave di TC sono presenti in lista BELFRIT, con le seguenti indicazioni per gli effetti fisiologici: Azione tonica e di sostegno metabolico; Antiossidante; Normale tono dell’umore. Negli ultimi anni, numerosi dati sperimentali, condotti su modelli animali e sull’uomo, hanno evidenziato la capacità dei flavanoli di TC di ridurre il danno ossidativo, sostenere il normale tono dell’umore e migliorare le capacità mnemoniche. In termini di funzione cerebrale, singole dosi di cacao contenenti rispettivamente 500 e 900 mg di flavanoli sono state in grado di aumentare il flusso sanguigno cerebrale.85,86
Anche somministrazioni con dosaggi di flavanoli più bassi (170 mg e 450 mg), ma per periodi più lunghi (5 giorni o 2 settimane) in soggetti anziani o giovani sani hanno dimostrato di aumentare il flusso sanguigno cerebrale.87,88
Numerosi studi controllati condotti sull’uomo inoltre hanno dimostrato che alimenti contenenti adeguate concentrazioni di flavanoli del cacao possono rallentare il calo mnemonico legato all’età e aumentare la funzionalità fisiologica di aree cerebrali deputate alla prontezza mentale e formazione di nuovi ricordi. Due studi condotti dal gruppo del Prof. Desideri, uno su 90 partecipanti anziani sani89 e l’altro su 90 pazienti con deficit cognitivi legati all’età,90 in cui è stata somministrata per 4 settimane una bevanda con livelli bassi (controllo), medi (520 mg) o alti (990 mg) di flavanoli del cacao, hanno dimostrato che i livelli elevati di polifenoli del cacao migliorano metabolismo, stress ossidativo e soprattutto capacità cognitive.
Uno studio clinico randomizzato condotto su anziani sani ha dimostrato che l’assunzione per 3 mesi di cacao contenente alti livelli di epicatechine non solo migliora le performance mnemonico-cognitive, ma attiva in maniera specifica le funzioni metaboliche dell’area cerebrale
– il giro dentato dell’ippocampo – deputata all’acquisizione di nuove informazioni.91
Ginkgo biloba
Il Ginkgo biloba (GB) è un albero antichissimo, già presente sul pianeta 270 milioni di anni fa, originario della Cina, ma oramai coltivato e ampiamente presente anche in Europa e in America. Le foglie, il frutto e la corteccia del GB hanno una tradizione millenaria come rimedi salutistici nella medicina cinese, e i loro estratti sono utilizzati in tutto il mondo per preparazioni erboristiche e farmaceutiche con diverse indicazioni. In particolare, l’estratto secco delle foglie di GB è incluso nella farmacopea Europea, e l’EMA ha pubblicato una monografia92 che ne approva le seguenti indicazioni terapeutiche come medicinale vegetale: Uso tradizionale per disturbi circolatori minori; Uso consolidato per il miglioramento del deterioramento cognitivo (associato all’età) e della qualità di vita nella demenza lieve. Per vantare tali indicazioni l’estratto secco deve soddisfare i requisiti previsti dall’attuale monografia e contenere quantitativi standardizzati di principi attivi fitochimici quali flavonoidi e lattoni terpenici. Nello specifico, l’estratto di GB contiene circa il 25% di flavonoidi di ginkgo, circa il 6% di lattoni terpenici e contenuto di acidi ginkgolici (sostanze potenzialmente tossiche) al di sotto di 5 ppm. I lattoni terpenici del GB sono sostanze uniche che si trovano solamente in questa pianta; questi sono i diterpeni ginkgolidi A, B e C e il sesquiterpene bilobalide, tutti dotati di tre anelli di lattoni.
In Italia il GB non è ancora presente come medicinale vegetale, ma è una pianta inclusa nella lista BELFRIT e il suo estratto è presente sul mercato come integratore alimentare, con le seguenti indicazioni di riferimento per gli effetti fisiologici: Antiossidante; Memoria e funzioni cognitive; Normale circolazione del sangue; Funzionalità del microcircolo. Come integratore il GB è ampiamente utilizzato contro i disturbi di memoria e per le condizioni che, soprattutto durante la terza età, sono associate alla riduzione del flusso di sangue al cervello. I meccanismi d’azione sono molteplici e non si limitano all’azione sul tono vascolare. Le diverse componenti attive presenti nell’estratto agiscono contemporaneamente, nel contesto cerebrale, a più livelli molecolari, attraverso molteplici meccanismi d’azione in grado di sortire effetti benefici sulle funzioni cognitive (modulazione dei neurotrasmettitori) e in termini di neuroprotezione (azione antiossidante e di protezione mitocondriale).
Nella popolazione sana, estratti standardizzati di GB hanno dimostrato di aumentare il flusso sanguigno cerebrale dopo una integrazione di 4 settimane93 e di 8 mesi.94 Uno studio recente che ha coinvolto 188 soggetti di mezza età senza difetti cognitivi ha dimostrato un miglioramento della memoria dopo 6 settimane di integrazione.95 In un altro studio condotto su 300 soggetti affetti da lieve deficit cognitivo, un trattamento di 12 settimane è stato in grado di migliorare attenzione, memoria e qualità della vita.96 I risultati di una metanalisi pubblicata nel 2014 hanno confermato l’efficacia e la tollerabilità dell’estratto di GB anche in pazienti affetti da demenza.97
Il miglior risultato in termini di beneficio dose-dipendente dell’estratto titolato di GB (EGb 761®) sulle funzioni cognitive è stato ottenuto mediante l’assunzione di un dosaggio giornaliero di 240 mg ed è stato osservato soprattutto in quegli studi che includevano pazienti con disturbi neuropsichiatrici significativi. Anche una metanalisi pubblicata nel 201598 ha dimostrato un
beneficio associato alla somministrazione di un estratto di GB rispetto al placebo sui disturbi cognitivi in pazienti affetti da malattia di Alzheimer.
Un’altra metanalisi di studi condotti su pazienti dementi con associati disturbi neuropsichiatrici99 ha dimostrato che l’estratto titolato di GB alla dose giornaliera di 240 mg è efficace nel migliorare significativamente le funzioni cognitive rispetto al placebo.
Infine, una recente metanalisi100 ha dimostrato che l’estratto titolato di GB rispetto a placebo è efficace sui sintomi neuropsichiatrici in pazienti con malattia di Alzheimer o demenza vascolare. Oltre al miglioramento dei sintomi già presenti, l’assunzione di GB riduce anche il rischio di sviluppare nuovi sintomi neuropsichiatrici.
Bacopa monnieri
La Bacopa monnieri è una pianta acquatica indiana, tradizionalmente utilizzata nel sistema medico ayurvedico per migliorare memoria e processi cognitivi, e anche per promuovere la longevità. La Bacopa monnieri è inclusa nella lista Belfrit con le seguenti indicazioni di riferimento per gli effetti fisiologici: Memoria e funzioni cognitive; Rilassamento (sonno), benessere mentale. I componenti attivi presenti negli estratti di Bacopa monnieri sono i triterpeni e i bacosidi o bacopasidi, strutturalmente simili ai ginsenosidi presenti nel ginseng. In studi condotti su animali i bacosidi hanno dimostrato una potenziale attività neuroprotettiva, una rilevante capacità di migliorare gli aspetti legati ad apprendimento e memoria e una significativa attività antiossidante. Sebbene i meccanismi esatti con i quali la Bacopa moduli la funzione cerebrale rimangano ancora poco chiari, dagli studi preclinici si evince che i bacosidi sono in grado di aumentare il flusso sanguigno cerebrale, di interferire con svariati neurotrasmettitori, tra cui acetilcolina,101 neurotrasmettitori oppioidi102 e GABA,103 e di modulare l’asse ipotalamo- ipofisi-surrene.104
Una recente metanalisi che ha valutato 9 studi clinici, per un totale di 518 partecipanti, condotti con una integrazione di Bacopa monnieri per almeno 12 settimane, ha dimostrato che un dosaggio di 300 mg/die di estratto di Bacopa monnieri è in grado di migliorare le prestazioni mentali e la velocità di elaborazione.105
Uno studio clinico randomizzato in doppio cieco che ha valutato un estratto di Bacopa monnieri titolato al 55% di bacosidi, 300 mg/die, somministrato a 46 adulti sani, ha dimostrato un miglioramento dell’elaborazione delle informazioni visive, della velocità di apprendimento e del consolidamento della memoria, con effetti massimi a 12 settimane di trattamento.106
Un altro studio condotto su 76 adulti sani ha rilevato che la Bacopa monnieri più che aumentare le capacità di apprendimento è in grado, dopo 3 mesi di assunzione, di ridurre significativamente il tasso di dimenticanza delle informazioni acquisite.107 Tutti gli studi fin qui sviluppati comunque sembrano sostenere un effetto significativo della Bacopa monnieri su apprendimento e memoria solo dopo una somministrazione cronica e ripetuta per un periodo di almeno 3 settimane.
Conclusioni
Oltre ai principi fin qui brevemente accennati, è necessario sottolineare che altre sostanze nutraceutiche sono state esaminate per valutarne l’efficacia nel migliorare aspetti della fisiologia cerebrale. Ad esempio, alcuni aminoacidi, in grado di modulare metabolismo o sintesi dei principali neurotrasmettitori, sono stati sperimentati per la loro potenziale capacità di supportare il tono dell’umore e ridurre il rischio di sviluppare stati di ansia o depressione; nonostante risultati promettenti, la valutazione di tali sostanze in soggetti sani, come per molte altre sostanze fin qui descritte, ha sortito effetti parziali, non permettendo di stabilire in maniera unanime una significativa efficacia causa/effetto in termini di salute cerebrale.
I limiti della possibilità di valutare l’efficacia di una sostanza nutrizionale sul cervello sono spesso intrinseci allo studio stesso, essendo il cervello un tessuto difficile da esaminare in termini di biomarcatori attendibili e, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione di malattie neurodegenerative e comportamentali, richiedendo tali studi tempi di valutazione lunghissimi e un numero di partecipanti molto elevato.
Un esempio recente di un approccio sperimentale adeguato è il COcoa Supplement and Multivitamin Outcomes Study (COSMOS), uno studio randomizzato in doppio cieco, della durata di 5 anni, condotto dalla Harvard Medical School, che sta arruolando ben 18.000 persone negli Stati Uniti per valutare l’effetto sulla salute cardiaca e cerebrale dei flavanoli del cacao. Si tratta di uno studio enorme e che probabilmente darà risposte delucidative, ma difficilmente potrà rappresentare un modello da seguire, per i costi estremamente rilevanti.
In conclusione, ricordiamo che l’EFSA ha pubblicato le Linee guida per valutare l’efficacia di sostanze nutrizionali o derivate dal cibo sulle funzioni cerebrali, incluse quelle psicologiche.108 Sebbene tale documento non rappresenti, per stessa ammissione dell’EFSA, una guida esaustiva degli approcci per valutare in maniera attendibile il rapporto causa/effetto di una sostanza sulle funzioni cerebrali, è sicuramente un notevole passo avanti per impostare studi nutrizionali significativi in tale area.
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