Le indagini più recenti condotte dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e dall’ISTAT confermano per l’Italia un trend che già da alcuni anni viene periodicamente proposto: in uno dei Paesi con l’aspettativa di vita alla nascita più elevata a livello globale (80,8 anni per gli uomini e 85,2 per le donne nel 2017), secondo solo al Giappone per proporzione di over 65 rispetto ai più giovani (quasi 170 anziani ogni 100 bambini di età compresa tra 0 e 14 anni), il numero di anziani e grandi anziani è destinato ad aumentare ulteriormente nei prossimi decenni. Questi dati mettono certamente in luce il ruolo di tutte le componenti favorevoli che caratterizzano la nostra società e il nostro stile di vita (assistenza sanitaria, educazione, socialità, alimentazione ecc.), ma evidenziano anche quello che dovrà essere l’obiettivo per gli anni a venire: garantire una vita non solo più longeva, ma anche in buona salute.

Condizione imprescindibile sarà quindi l’impiego di tutte le strategie possibili per ridurre la prevalenza delle malattie cronico-degenerative che, a fronte del miglioramento generale di alcuni fattori di rischio (indice di massa corporea, pressione arteriosa) registrato dall’OMS alcuni anni fa,1 rappresentano ancora le prime cause di mortalità.

Indicazioni su uno dei possibili approcci a livello di popolazione vengono dai risultati del Global Burden of Disease, una raccolta di informazioni sulla salute a 360 gradi degli abitanti di 195 Paesi condotta da più di 3500 ricercatori. Nelle ultime pubblicazioni gli autori hanno valutato il potenziale impatto della correzione delle abitudini alimentari sulla salute, concludendo che gli “errori” nutrizionali più diffusi pesano sul rischio di mortalità (soprattutto per cause cardiovascolari e tumori) anche nel nostro Paese, nel quale l’aderenza alla dieta mediterranea è ancora complessivamente alta.2 A mettere a repentaglio la salute contribuiscono in parte i consumi eccessivi di categorie di alimenti e nutrienti dei quali sono noti gli effetti potenzialmente sfavorevoli, come il sale, le fonti di grassi saturi e trans, gli zuccheri, ma anche, e in misura maggiore, gli apporti non adeguati di alimenti (e dei relativi componenti) e nutrienti che assumiamo meno di quanto sia invece raccomandato (cereali integrali, frutta e verdura, frutta secca con guscio e semi, legumi, latte, fibra, grassi polinsaturi, calcio).3,4

L’analisi del Global Burden of Disease conferma la validità delle linee guida per una sana alimentazione, evidenziando un aspetto in qualche modo innovativo: promuovere l’apporto di specifici componenti favorevoli della dieta è probabilmente la strategia più efficace in termini di salute pubblica. Questa visione, che ribadisce il ruolo centrale della corretta alimentazione, si contrappone all’approccio restrittivo, che per molto tempo è stato considerato quello più utile per contrastare i principali fattori di rischio – sovrappeso e obesità, diabete, ipertensione, dislipidemie. La cosiddetta “nutrizione positiva”, che si focalizza soprattutto su ciò che, pur modulando favorevolmente la salute complessiva, non è consumato in quantità sufficienti, è correlata con i concetti di “nutraceutica” – quella fusione tra “nutrizione” e “farmaceutica” di cui si parla a partire dagli anni Settanta del secolo scorso – e quindi con i nutraceutici, quei composti generalmente presenti nell’alimentazione varia e completa che si sono dimostrati efficaci nel promuovere e mantenere una condizione di benessere, nel modulare il sistema immunitario e nel prevenire o trattare malattie specifiche. Per alcuni di essi, o meglio per alcuni loro componenti, l’Autorità Europea per la Sicurezza degli Alimenti (EFSA), sulla base di un’attenta analisi della letteratura scientifica e delle evidenze disponibili, ha autorizzato l’uso di specifiche indicazioni (claim) nutrizionali e di salute, consentendo e regolamentando così la comunicazione al pubblico dei benefici associati al consumo di sostanze nutritive o a effetto nutrizionale e fisiologico, purché presenti nel prodotto finale in quantità significative e in forma utilizzabile dall’organismo. Ad ogni claim corrisponde una precisa definizione degli effetti funzionali associati, che sono stati dichiarati rilevanti per la salute e il benessere. Il mantenimento di un adeguato “turnover” delle proteine, indispensabile per la formazione e il mantenimento di organi e tessuti, è stato riconosciuto essere 2-3 volte maggiore rispetto alla quota proteica assunta con la dieta;5 la biodisponibilità, ovvero il buon utilizzo da parte dell’organismo delle varie sostanze, e soprattutto di vitamine e minerali, viene considerata determinante per le funzioni ad essi associate; la protezione delle cellule (DNA, proteine, lipidi) e delle lipoproteine LDL dallo stress ossidativo è stata riconosciuta come effetto fisiologico benefico; per la fluidità delle membrane di cellule e vasi sono stati accertati gli effetti positivi; gli acidi grassi polinsaturi della serie omega-6 e della serie omega-3 sono definiti essenziali per l’organismo che non è in grado di sintetizzare de novo i precursori (acido linoleico e alfa-linolenico) e che deve quindi introdurli con la dieta in quantità definite.

Dal punto di vista fisiologico vi sono poi alcuni aspetti di particolare interesse, emersi dagli studi più recenti, ma non per questo meno solidi. È il caso del microbiota (il complesso dei microrganismi intestinali) e dei geni relativi (microbioma): sempre più evidenze infatti ne supportano il ruolo nella modulazione della salute a diversi livelli, compreso il controllo della funzione immunitaria e della risposta infiammatoria, già definito da EFSA come un effetto fisiologico positivo.

Sebbene l’adozione di uno stile alimentare vario ed equilibrato, specie in persone fisicamente attive, sia ritenuta sufficiente per garantire alla popolazione generale sana tutti i nutrienti necessari, sempre più osservazioni epidemiologiche supportano la necessità di una maggiore attenzione alla copertura del fabbisogno nutrizionale e al sostegno delle funzioni fisiologiche dell’organismo anche nei Paesi maggiormente industrializzati. L’apporto giornaliero raccomandato in Italia per i principali macro- e micronutrienti è riportato nelle tabelle dei LARN (Livelli di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana), aggiornate con cadenza periodica dalla Società Italiana di Nutrizione Umana, che evidenziano come le quantità ottimali non siano identiche per tutte le fasce della popolazione.6 Non solo: oltre che sulle categorie più fragili, come i bambini, gli anziani, le donne in gravidanza, e sui soggetti il cui stile di vita comporta un aumentato fabbisogno di selezionati nutrienti o di calorie (come gli sportivi o i lavoratori impegnati in attività fisicamente molto attive), oggi l’attenzione si focalizza anche su quelle persone che, in assenza di motivi di salute e di indicazione del medico, escludono autonomamente dalla dieta specifici nutrienti o alimenti o intere categorie alimentari. Le conseguenze delle diete di esclusione in termini di apporti di macro- e micronutrienti e di componenti minori biologicamente attivi sono variabili a seconda del regime alimentare, del rigore con il quale viene seguito e delle caratteristiche individuali. Per esempio, sulle diete vegane e i possibili effetti sulla qualità della dieta si sono espressi sia il gruppo di lavoro della Società Italiana di Nutrizione Umana7 sia le Società italiane di medicina perinatale e di pediatria per quel che riguarda gravidanza ed età evolutiva.8

Infine, non si può non accennare all’interazione tra alimentazione e pattern genetico: da una parte, grazie alla nutrigenetica (il termine è stato coniato nel 1975) è possibile definire la corrispondenza tra quantità e qualità di nutrienti e DNA individuale; d’altra parte, la nutrigenomica studia le correlazioni tra apporti alimentari e modificazioni genetiche.

In sostanza, si parla di personalizzazione della nutrizione, tenendo in considerazione tutti gli aspetti fin qui citati (dal fabbisogno al profilo genetico, dalla fisiologia individuale alle abitudini alimentari e di stili di vita) e le relative interazioni. Ad oggi, l’interazione tra nutrizione, espressione genica e salute è stata definita per alcune patologie come l’intolleranza al lattosio e la fenilchetonuria, ma studi preliminari suggeriscono che un’associazione analoga possa essere alla base anche dei fattori di rischio per malattie croniche.9

Proprio nell’ambito della nutrizione personalizzata è stato riproposto il ruolo degli integratori, ossia di quei prodotti che, in caso di aumentato fabbisogno o di apporto inadeguato di nutrienti con la dieta, possono rappresentare una valida e sicura opportunità per favorire l’assunzione ottimale di una o più sostanze e/o il sostegno di funzioni fisiologiche.10 Contribuendo in alcuni casi anche alla prevenzione di fattori di rischio di malattia, come ormai dimostrano numerose osservazioni epidemiologiche condotte in popolazioni numerose.

Integratori per il benessere

Vitamine

Sicuramente le vitamine, insieme ai minerali, sono i nutrienti per i quali è stato identificato e

dimostrato il maggior numero di benefici nutrizionali e funzionali e ai quali di conseguenza corrisponde il maggior numero di claim approvati, in relazione a livelli di assunzione giornaliera raccomandati ben definiti. Si tratta di molteplici effetti fisiologici essenziali per la sopravvivenza, che vedono in alcuni casi l’azione combinata con altre vitamine e con minerali: ne sono riconosciuti ad esempio 15 per la vitamina C, 10 per la B6, 9 per la B2, 8 per i folati (o vitamina B9) ecc. La presenza in quantità insufficienti nell’organismo di specifiche vitamine (ipovitaminosi) può dipendere da un’insufficiente assunzione di vitamina con gli alimenti, da un aumentato fabbisogno (ad esempio in gravidanza) o, in condizioni patologiche, da un ridotto assorbimento. La somministrazione di vitamina tramite l’alimentazione o integratori specifici è solitamente sufficiente a eliminare i sintomi della carenza, che sono specifici per le diverse vitamine.11

Il contenuto di livelli differenti delle diverse vitamine, idro- e liposolubili, negli alimenti fa sì che per alcune di esse il rischio di apporto inadeguato sia particolarmente alto nell’ambito di stili alimentari poco variati e non perfettamente equilibrati. È il caso di alcune vitamine del gruppo B (B12, ma anche tiamina, niacina e B6), per le quali le fonti d’elezione sono cibi di origine animale, oltre ai cereali integrali, che possono essere quindi presenti in quantità insufficienti nelle diete vegane strette.7,12

Un discorso a parte poi meritano i folati, la cui criticità in tutta la vita fertile della donna13 è ben nota, ma non solo per la salute dei figli. Nelle conclusioni di una revisione delle metanalisi (gli studi più solidi, basati sulla valutazione dei risultati degli studi di intervento di buona qualità) pubblicate negli ultimi 10 anni, gli autori hanno ipotizzato che la supplementazione con acido folico possa anche ridurre il rischio cardiovascolare negli adulti.14 Il rischio di carenza di folati, oltre che di tiamina (o vitamina B1), è stato associato all’assunzione di diete fortemente ipoglucidiche (a bassissimo apporto di carboidrati).15

Per la vitamina D (la cui carenza può compromettere la formazione delle ossa e il mantenimento dello scheletro in salute per la vita) il problema, che per alcune popolazioni è generale, riguarda invece la presenza di concentrazioni insufficienti nel sangue, dovute soprattutto a limitati meccanismi di sintesi endogena, con conseguenze importanti in termini di rischio di rachitismo e osteoporosi. Per esempio, il rischio di carenza di vitamina D è stato associato al fatto che la maggior parte delle attività quotidiane sia degli adulti sia dei bambini venga svolta in ambienti chiusi anche nella bella stagione.16 Ma non solo: molte ricerche confermano la relazione anche con l’aumento del rischio di patologie cronico-degenerative (soprattutto cardiovascolari) e indicano che una carenza della vitamina D, le cui fonti alimentari sono piuttosto limitate, è più probabile specie nelle zone geografiche e nei periodi dell’anno meno soleggiati.17,18

Effetti protettivi importanti e ben noti sono svolti anche dalle altre vitamine liposolubili (A, E, K) e dalla vitamina C.19 Quest’ultima, insieme alla D e all’acido folico, è stata segnalata nell’ambito di EURRECA (EURopean micronutrient RECommendations Aligned) – la rete di eccellenza promossa dalla Commissione Europea per armonizzare le raccomandazioni di micronutrienti attualmente adottate nei diversi Paesi e valutare l’adesione alle stesse raccomandazioni a livello di popolazione – tra i nutrienti con la maggiore prevalenza di apporto inadeguato in Europa.20 Acido folico e vitamina E sono stati oggetto di una recente revisione degli studi di intervento di durata superiore ai 12 mesi; gli autori, pur rilevando la disomogeneità di dosaggi e modalità di supplementazione, hanno riscontrato una riduzione significativa del rischio cardiovascolare con entrambe le vitamine.21 La relazione tra apporto di acido folico e riduzione del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari ha trovato conferma in una revisione sistematica condotta da un gruppo internazionale di ricercatori.22

Infine, relativamente alla supplementazione con vitamina E e vitamina C da alcuni anni viene suggerito un ruolo protettivo nei confronti del rischio di declino cognitivo.23

Minerali

Claim nutrizionali di vario tipo sono stati approvati anche per i minerali, coinvolti in un gran numero di funzioni vitali: 10 per il magnesio, 8 per il calcio, 7 per rame e ferro, 6 per il selenio ecc. Anche per i minerali tuttavia vi può essere un rischio di carenza attribuibile al consumo di diete di esclusione, come nel caso di calcio e ferro (presenti in concentrazioni elevate e ad alta biodisponibilità in latte e carne rispettivamente), ma anche zinco e magnesio. Frutta, verdura, legumi e cereali, infatti, apportano anche fitocomposti come gli ossalati, i fitati, i tannini e le fibre, detti “antinutrienti”, che possono interferire con l’assorbimento a livello intestinale. Ad esempio, gli stessi calcio e ferro se apportati da vegetali sono assorbiti in modo incompleto.24 In particolare, l’EFSA ha ammesso l’importanza del consumo di carne e pesce (in una porzione singola da almeno 50 g) nel migliorare l’assorbimento del ferro, in concomitanza con altri alimenti che lo contengono. Presente in quantità rilevanti negli alimenti di origine animale è anche lo zinco, il cui assorbimento può essere ridotto dal consumo di diete ipoproteiche o comunque carenti di specifici aminoacidi.25

Data la prevalenza di livelli inadeguati di magnesio nella popolazione geriatrica, ne è stata proposta la supplementazione nella prevenzione della demenza, sulla base degli studi che hanno valutato l’impatto dell’integrazione della dieta di pazienti con disturbi cognitivi sulla memoria e sul miglioramento della sintomatologia.26

Il rischio di carenze di alcuni minerali, soprattutto calcio, selenio e iodio, è stato descritto anche nella popolazione generale europea.27 Inoltre, un’analisi delle concentrazioni di elementi in vari gruppi di popolazione ha rilevato casi a rischio significativo in relazione all’area geografica di provenienza, in particolare in relazione al calcio tra gli adulti e a iodio e ferro tra i bambini originari dell’Europa Orientale.28

Anche in Italia persiste a tutt’oggi una carenza endemica di iodio in alcune aree, come evidenziato dai dati di monitoraggio del “Programma nazionale di Prevenzione di Disordini da carenza iodica” dell’Istituto Superiore di Sanità, situazione che determina ancora un’alta percentuale di gozzo e disordini correlati.29 Il rapporto ISTISAN 14/6 sottolinea la necessità di decisive azioni di intervento per la formazione del personale sanitario e di campagne di informazione alla popolazione sull’importanza della iodoprofilassi – ricordiamo ad esempio quelle promosse dal Ministero della Salute sul consumo di sale iodato – al fine di ridurre le patologie correlate alla carenza nutrizionale di iodio e i costi socio-sanitari connessi.

Multivitaminici-multiminerali

Già oggetto di un’ampia letteratura negli anni scorsi, gli effetti nutrizionali e di salute degli integratori a base di più vitamine e/o minerali sono stati trattati in dettaglio in una recente revisione della letteratura ad opera di un gruppo internazionale di esperti, che ne ha confermato la sicurezza d’uso nel lungo termine e stabilito il ruolo nei casi di apporti dietetici carenti o comunque inadeguati.30 La sicurezza di tali prodotti ha trovato conferma nei risultati di una metanalisi di studi clinici randomizzati, che ha evidenziato come il consumo di multivitaminici- multiminerali consenta l’assunzione dei vari micronutrienti a livelli adeguati ma ben al disotto dei valori massimi soglia, per periodi di tempo più prolungati rispetto ai corrispondenti singoli componenti.31

Un’altra metanalisi ha correlato il consumo di integratori a base di più vitamine e minerali con una migliore qualità della vita in generale e con l’adozione di alimentazione e stili di vita più sani.32 Lo studio più importante tra quelli inclusi nell’analisi è sicuramente il Physicians’ Health Study II, un trial clinico controllato, condotto in una popolazione di oltre 14.000 medici americani, di 50 anni o più al momento del reclutamento, seguiti per circa 11 anni. Al termine del periodo di osservazione la supplementazione con un multivitaminico è risultata associata a una riduzione modesta, ma significativa, del rischio di tumori, soprattutto tra i soggetti in età più avanzata (70 anni e oltre), confermando ancora una volta il ruolo dell’integrazione con vitamine e minerali in età geriatrica.33 La correlazione favorevole tra supplementazione e rischio oncologico è stata evidenziata anche da un gruppo di esperti di diversi Paesi.

Sul fronte cardiovascolare, invece, un’associazione inversa tra assunzione di multivitaminici e multiminerali e valori della pressione arteriosa è emersa dalla metanalisi di 8 studi di intervento randomizzati controllati condotti in oltre 2000 soggetti sani.34

I già citati dati ottenuti nell’ambito del Physicians’ Health Study hanno permesso di rilevare anche una correlazione tra l’integrazione con un multivitaminico e la minore incidenza di cataratta.35 Gli autori dello studio sottolineano l’importanza di questi dati, che supportano i benefici della supplementazione anche in una popolazione, come quella dei medici, che già si caratterizza per l’attenzione e l’adesione a corretti stili alimentari e di vita.

A fronte delle diverse funzioni fisiologiche specifiche per i diversi micronutrienti, è stato proposto che l’assunzione di livelli adeguati di tutti i micronutrienti necessari possa comportare ulteriori benefici complessivi, soprattutto nella terza età, modulando i processi comuni all’invecchiamento e alla progressione delle malattie degenerative.36 Infatti, oltre a controllare il profilo metabolico, il corretto apporto di vitamine e minerali (nonché di macronutrienti ed energia) concorrerebbe a rallentare il decadimento dell’attività sia dell’enzima nitrossido sintetasi (eNOS) sia mitocondriale (e quindi dei meccanismi ad essa correlati, come la replicazione del DNA e l’equilibrio osmotico), che è comune alla patogenesi di obesità e diabete oltre che dei processi fisiologici legati all’età, come la sarcopenia dell’anziano.37

Informazioni solide sulle potenzialità dell’integrazione della dieta in età geriatrica potranno venire dallo studio randomizzato controllato COSMOS (COcoa Supplement and Multivitamin Outcomes Study), che è stato disegnato per valutare le eventuali associazioni tra apporto di multivitaminici-multiminerali e specifici endpoint primari (infarto del miocardio, ictus, mortalità per cause cardiovascolari e tumori) in 12.000 donne con più di 60 anni e 6000 uomini over 60, in confronto con una dose da 600 mg di estratto di cacao.38

Antiossidanti

La responsabilità della relazione tra l’adesione a una dieta di tipo mediterraneo, ricca di frutta, verdura, cereali, oltre a legumi e grassi vegetali insaturi, e la più lunga aspettativa di vita o la minore prevalenza di malattie croniche viene generalmente attribuita a numerosi componenti dei cibi di origine vegetale. Oltre alle vitamine e ai minerali, altre sostanze contenute in piccole quantità e molto diverse tra loro hanno in comune un’attività di tipo antiossidante e sono presenti prevalentemente nei frutti rossi, nel tè, nel vino e nel cioccolato. In generale, l’aumento del consumo di questi cibi, e quindi della capacità antiossidante della dieta, si associa all’aumento delle difese dell’organismo contro i processi ossidativi e al miglioramento del profilo metabolico.39,40 Lo studio MOLI-sani ad esempio ha evidenziato una relazione positiva tra consumo di alimenti ricchi di fitocomposti ad attività antiossidante e lo stato di salute, soprattutto in termini di valori della pressione arteriosa e risposta antinfiammatoria, anche in una popolazione italiana.41 Tali benefici, strettamente associati all’apporto dietetico, tendono a ridursi nella stessa coorte con l’età, contemporaneamente alla sempre minore adesione alla dieta mediterranea (ricca in antiossidanti) anche per cause di natura socio-economica.2

Antiossidanti sono la vitamina C, il beta carotene, ma anche composti come le antocianine (contenute nei frutti di colore violaceo), i flavanoli del cacao, gli acidi clorogenici del caffè, il licopene del pomodoro, i polifenoli del vino rosso e dell’olio extra vergine d’oliva. La ricerca sui possibili effetti dei composti di natura polifenolica continua a produrre interessanti risultati. Ad esempio, l’analisi della relazione con la sindrome metabolica e i fattori di rischio correlati ha evidenziato relazioni differenti per composti di origine e con caratteristiche diverse: il tè verde correla negativamente con l’indice di massa corporea e la circonferenza addominale e positivamente con il miglioramento del profilo lipidico; alla supplementazione con cacao corrisponde il controllo pressorio e glicemico (quest’ultimo associato anche ai composti della cannella); per il metabolismo lipidico sono stati descritti benefici con estratti di agrumi e quercetina.42 Tra i meccanismi d’azione degli effetti dei polifenoli è stato evidenziato un impatto positivo sulla funzione endoteliale, osservato soprattutto per i composti del cacao e per le antocianine dei frutti rossi.

Gli studi più recenti confermano l’efficacia del trattamento con antiossidanti anche nelle prime fasi dell’insorgenza dell’aterosclerosi (una patologia su base infiammatoria), prevenendo tra l’altro l’ossidazione delle LDL e le lesioni ossidative dell’endotelio.43 Altri studi suggeriscono il ruolo di particolari antiossidanti nella prevenzione della crescita tumorale, dell’infiammazione e della degenerazione del tessuto nervoso. I benefici degli antiossidanti sono stati messi in relazione con la capacità di legare i radicali liberi, proteggendo le cellule dalle specie reattive dell’ossigeno e regolando i processi ossidativi coinvolti nella trasduzione del segnale.

Acidi grassi polinsaturi e omega-3

Gli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, che sono essenziali e quindi indispensabili per la salute umana, sono presenti in quantità limitate nell’alimentazione di tipo occidentale.44 Da questa considerazione prendono le mosse le ricerche che ne hanno dimostrato gli effetti sulla salute, grazie all’impiego di integratori e farmaci che ne apportano livelli significativi. Infatti, il precursore acido alfa-linolenico si trova in concentrazioni importanti nelle noci, in alcuni semi (lino, soia, colza) e negli oli derivati, nei vegetali a foglie verdi e in quantità minori in quasi tutti i vegetali; gli omega-3 a più lunga catena EPA e DHA (acido eicosapentaenoico e docosaesaenoico) si trovano invece soprattutto nei pesci grassi che vivono nei mari freddi. I pesci più magri ma da noi particolarmente diffusi (sogliola, branzino, orata), così come le uova, sono fonti minori di questi importanti nutrienti.

Il ruolo che gli acidi grassi omega-3 (soprattutto il DHA) svolgono nella funzione delle cellule di organi altamente specializzati come il cervello e la retina è ormai ben stabilito e assunto dalla comunità scientifica internazionale.45 Una recente revisione sistematica della letteratura ha rilevato l’associazione tra la supplementazione con omega-3 a lunga catena (e omega-6) e il controllo della sintomatologia tipica della sindrome dell’occhio secco, molto diffusa nella popolazione generale.46

Ben noti sono anche i benefici degli omega-3 in prevenzione cardiovascolare: per l’acido alfa- linolenico è stato approvato il claim relativo al mantenimento della normale colesterolemia, mentre per EPA e DHA è stato stabilito il contributo alla normale funzione del cuore, al mantenimento della pressione sanguigna e dei livelli fisiologici di trigliceridi nel sangue. Studi di intervento su larga scala hanno poi dimostrato effetti sul ritmo cardiaco, sull’aggregazione piastrinica, sulla funzionalità endoteliale, sulla riduzione dei livelli circolanti di citochine proinfiammatorie (IL-6, TNF-α, PCR) e sulla maggiore stabilità della placca aterosclerotica.47

I molteplici benefici degli omega-3 sono strettamente legati alla concentrazione della dose giornaliera assunta e alla durata dell’assunzione, e si manifestano pertanto con tempi e modalità differenti. Un apporto pari a 500-1000 mg di omega-3 al giorno è sufficiente per produrre in poche settimane un effetto antiaritmico o per ottenere la riduzione della pressione arteriosa nell’arco di mesi o anni; sono invece necessarie concentrazioni superiori ai 2 g al giorno (ben lontane quindi da quelle ottenibili con la sola dieta) per settimane e mesi di assunzione perché si manifestino rispettivamente l’effetto antitrombotico e la riduzione dei trigliceridi.

Proteine

Tra le proteine, quelle di origine vegetale sono in genere raccomandate da clinici e nutrizionisti in un’ottica di prevenzione, specie delle malattie cardiovascolari: 25-30 g di frazione proteica di soia al giorno, che si è dimostrata efficace per una modesta riduzione della colesterolemia LDL (-6-7%) e per un aumento della colesterolemia HDL, si associano al miglioramento della funzionalità endoteliale e alla riduzione della pressione arteriosa. Studi osservazionali hanno infatti dimostrato che tra le popolazioni asiatiche, che per tradizione consumano abitualmente elevate quantità di soia, si osserva una minore frequenza di malattie coronariche. Nonostante la frazione proteica della soia contenga numerosi componenti biologicamente attivi, compresi alcuni aminoacidi, la fibra, le saponine e le globuline, alcuni studi suggeriscono il contributo della componente non proteica, e in particolare degli isoflavoni (fitoestrogeni), nel determinarne i benefici.48

Gli effetti delle proteine della soia sulla lipemia sono in larga parte correlati ai valori della colesterolemia basale, e quindi tanto maggiori quanto maggiore è la colesterolemia LDL prima della supplementazione.49 Già evidenti con una dose corrispondente a 40 mg/die di isoflavoni, tali effetti possono essere maggiori con dosaggi superiori agli 80 mg/die, sembrano più marcati negli uomini rispetto alle donne, nelle donne in premenopausa rispetto alle più anziane, nei pazienti con colesterolemia basale elevata e più significativi a breve termine piuttosto che dopo somministrazione prolungata.

Gli studi pubblicati nel corso degli ultimi anni attribuiscono agli isoflavoni e ai relativi metaboliti effetti anche sul controllo della pressione, del metabolismo glicemico, del peso e dell’infiammazione sistemica.50

Dati incoraggianti vengono anche dagli studi che hanno valutato l’efficacia della frazione proteica del lupino (Lupinus albus), in alternativa a quella della soia, nel controllo dei livelli di colesterolo.

Fibre alimentari/prebiotici

Per fibra si intende quella porzione degli alimenti di origine vegetale che nell’organismo non viene digerita, e che quindi, a differenza degli altri nutrienti, passa intatta attraverso lo stomaco e l’intestino senza essere assorbita. Convenzionalmente la fibra viene classificata in solubile (come i beta-glucani, la gomma di guar, le pectine), contenuta principalmente nell’orzo, nell’avena, nei legumi, e insolubile (come la cellulosa e la lignina), presente nelle farine integrali, nella frutta secca e in molti vegetali. Poiché è difficile distinguere i benefici dei due tipi di fibra, che possono coesistere all’interno di uno stesso alimento, si parla quasi sempre di fibra alimentare totale. Il consumo adeguato di fibra comporta innanzitutto il miglioramento della funzione del sistema gastrointestinale. Sono infatti stati approvati claim nutrizionali per le fibre da germe di grano (coadiuvanti dell’aumento della massa fecale e del transito intestinale), da orzo e avena (coadiuvanti dell’aumento della massa fecale) e da segale (per la normale funzione intestinale).

Alcune fibre come la pectina, i beta-glucani, l’inulina, l’oligofruttosio e le maltodestrine possono essere in parte fermentate dai batteri intestinali che dalla loro digestione producono composti che influenzano positivamente i processi intestinali e il metabolismo dei carboidrati e dei grassi. È ormai riconosciuta l’associazione tra l’assunzione di arabinoxilano prodotto dall’endosperma del frumento, nell’ambito di un pasto, e la riduzione dell’aumento di glucosio ematico post- prandiale. Ancora, una dieta ricca di fibra produce una sensazione di sazietà più prolungata nel tempo, anche grazie a meccanismi che influenzano la secrezione di diversi ormoni intestinali.51 In base a studi recenti, la fibra alimentare esercita un effetto protettivo anche sul sistema cardiovascolare. Dalla revisione sistematica degli studi prospettici più recenti è emersa una relazione di tipo dose-risposta tra l’apporto di fibra e la riduzione del rischio di malattie croniche degenerative: gli autori ipotizzano quindi che il nesso possa essere causale.52

Nello specifico, i beta-glucani (1-3,1-4 beta-D-glucani), polisaccaridi presenti nella crusca dei chicchi di cereale, e soprattutto dell’orzo e dell’avena, dotati di alta solubilità ed elevato peso molecolare, in presenza di acqua formano una massa viscosa in grado di condizionare diverse funzioni dell’organismo umano.53 In particolare, le numerose evidenze scientifiche a supporto dei benefici dei beta-glucani per la colesterolemia hanno portato all’approvazione di specifiche indicazioni per i prodotti che contengono almeno 1 grammo di beta-glucani da orzo e da avena (nell’ambito di una dose giornaliera complessiva efficace da 3 grammi assunta con un’alimentazione equilibrata), nei confronti del mantenimento dei livelli di colesterolo e della riduzione della colesterolemia (Regolamento UE n. 432/2012). Infatti, i risultati degli studi scientifici dimostrano che 3 grammi di beta-glucani al giorno riducono significativamente la colesterolemia totale e LDL di circa il 5-12% del valore basale, e che la riduzione è già evidente (1,73 e 2,21 mg/dl) per ogni grammo di beta-glucano assunto con la dieta, con conseguenti benefici in termini di mantenimento dei valori fisiologici nella popolazione sana.

Grazie all’alta viscosità, i beta-glucani sono in grado anche di ritardare lo svuotamento gastrico e quindi l’assorbimento di glucosio. L’analisi di 34 studi clinici ha messo in luce che l’apporto di almeno 4 grammi di beta-glucani comporta una significativa riduzione della glicemia post- prandiale.54

Anche i prebiotici sono sostanze di origine alimentare, non digeribili dal nostro organismo che però, se somministrate in quantità adeguate, sono in grado di promuovere selettivamente la crescita e/o l’attività di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale o assunti contestualmente al prebiotico, modulando positivamente la salute dell’ospite. Di fatto i prebiotici, attraverso gli acidi grassi a corta catena prodotti per fermentazione, costituiscono il nutrimento per i batteri utili per l’organismo umano – soprattutto appartenenti ai generi Lactobacillus e Bifidobacterium – e ne modificano la funzione, il metabolismo, la crescita e la presenza intestinale.55

Sono prebiotici alcuni carboidrati resistenti alla digestione del nostro organismo, come gli oligosaccaridi non digeribili o i carboidrati a corta catena che arrivano all’intestino crasso inalterati, alcune fibre alimentari solubili come l’inulina e il lattulosio, i cosiddetti “amidi resistenti”, che si trovano ad esempio nella patata e in alcuni frutti acerbi come le banane.

Un effetto clinicamente ben dimostrato riguarda la capacità dei carboidrati poco digeribili e a basso peso molecolare di migliorare il transito intestinale, modulando la flora batterica, nei pazienti costipati. Alcuni studi suggeriscono l’impiego dei prebiotici nel colon irritabile, nella prevenzione di calcoli di colesterolo e delle infezioni di origine intestinale. Anche l’oligofruttosio, come altri oligosaccaridi, ha un effetto rilevante sulla flora batterica del lume intestinale, soprattutto stimolando i bifidobatteri, il cui numero si riduce progressivamente con la crescita; la supplementazione con oligofruttosio è stata proposta per ridurre il rischio di diarrea e di disturbi del tratto gastrointestinale nei lattanti e nei primi anni di vita.

I fruttani, pure ad azione prebiotica, costituiscono un gruppo di frutto-oligosaccaridi contenuti in concentrazioni nell’ordine dei milligrammi in diversi vegetali (cipolla, banana, frumento, carciofo, aglio, cicoria ecc.).

Somministrate con i probiotici (in sinbiotici), le fibre prebiotiche aumentano la sopravvivenza e quindi l’attività del probiotico stesso, oltre a stimolare la crescita di bifidobatteri e lattobacilli nel colon.

 Bibliografia
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